lunedì 7 aprile 2014

Intervista con Mara De Longis

Con Mara De Longis, la direttrice di IED Roma Moda, ci siamo incontrate il giorno delle presentazioni dei workshops svolti nell’ambito della IED Factory 2014. Inevitabilmente la prima domanda parte proprio da questo.


Questa settimana si è svolta la IED Factory edizione 2014. Le Sue impressioni?
È la prima volta che assistevo alla presentazione IED Factory e che vivevo la settimana IED Factory, e l’ho trovata straordinaria. Vorrei IED Factory tutto l’anno! È stata una iniezione di entusiasmo, non solo per i ragazzi, ma per la sede in generale. C’è movimento, anche la rottura degli schemi che porta alla creatività sotto tutti i punti di vista. Sono proprio entusiasta, mi ha caricata d’energia.

Era interessante notare come cambia l’approccio dei ragazzi che lo vivono dal primo all’ultimo giorno. Il primo giorno arrivano tutti poco convinti, non sanno esattamente cosa dovranno fare. L’ultimo giorno sono talmente entusiasti di quello che hanno prodotto che cambiano completamente l’atteggiamento. Questa è la cosa meravigliosa. Significa che il loro risultato gli ha dato una svolta. Si sono sentiti efficaci, hanno portato a casa un risultato concreto, ed è già uno stimolo. E poi hanno un confronto con i professionisti che non è un confronto didattico. Non hanno la tensione dell’esame, del voto, della competizione con il compagno.  

Uno dei temi scelti era Less is More – Downsizing. Perchè proprio questo tema? 
Tutti gli argomenti vanno definiti dalla direzione. Questo argomento in particolare non è specifico di moda, ma coinvolge tutte quante le facoltà, anche se poi la moda si è espressa comunque, inserita in un altro contesto. Fra l’altro penso che l’approccio più ovvio, cioè “io faccio fashion designer quindi faccio l’abito”, forse è meno stimolante. Io credo che sia una castrazione pensare che chi fa il fashion designer si occupi solo di moda. Anzi credo proprio che lo stimolo maggiore deve arrivare da altro. 

La scelta di questo tema è sicuramente dettata da tutto quello che troviamo intorno ad esso. La situazione globale attuale fa riflettere i ragazzi che hanno una media di 24-25 anni che si vogliono approcciare al mondo del lavoro domani, con uno sguardo nuovo, senza stare a pensare come si viveva e si faceva ieri, loro devono pensare “Domani che cosa faremo?”. È un approccio diverso da quello della mia generazione, anche se io mi considero ancora una giovane. Noi abbiamo vissuto una realtà economica differente e oggi facciamo fatica ad adeguarci alla situazione attuale.

Paradossalmente questa situazione apre anche tanti spiragli. La crisi può diventare uno stimolo in più. Perché le difficoltà in qualche modo stimolano la creatività, se vuoi sopravvivere. In questa situazione bisogna riaccendere il cervello e farlo funzionare.

Quindi c’è la volontà da parte nostra di dare una speranza agli studenti, che non è una speranza fittizia, ma anzi è la capacità di reinventarsi, di creare e di crearsi delle opportunità in un mondo che è quello che c’è oggi. Oggi il mondo è cambiato, e necessariamente dobbiamo fare dei conti con questo cambiamento. Le possibilità oggi ci sono. Semplicemente i requisiti e le caratteristiche richieste sono diversi da quelle di ieri. Quindi il tema Less is More è l’invito per riflettere su quello che può essere il futuro visto con l’ottica quella attuale. Basta con il dire “Ieri era così…”.

In linea massima che cosa definisce e distingue lo IED Roma dagli altri Istituti di moda?
Oggi la collocazione geografica è più relativa rispetto al passato. È ovvio che chi esce dallo IED Roma può andare a lavorare anche a New York come a Milano come a Firenze, come può lavorare anche da casa sua via web.

Al di là della collocazione geografica si cerca in qualche modo di sottolineare, soprattutto di preparare i ragazzi a delle peculiarità che possano essere tipiche del territorio. In qualche modo IED Roma è sempre stato associato ad alta moda, perché Roma ha sempre portato avanti dei nomi rivolti e legati più ad alta moda che a pret-a-porter. Le manifestazioni come IED Roma Fashion, la sfilata di fine anno, si svolgono nell’ambito di AltaRomAltaModa. Ed ovviamente va da se che i progetti degli studenti seguono il filone di alta moda. Oggi però cerchiamo di dare una competenza e una formazione più globale. L’evoluzione di tutto, storica, culturale porta anche un approccio formativo che va in quella direzione, proprio nell’ottica del futuro di cui parlavamo prima.

Quale è la differenza tra alta moda e prêt-à-porter, dal punto di vista di preparazione?
AltaModa si concentra sull’artigianalità, è questa forse una delle differenze principali. Anche se in questo momento c’è un ritorno generale all’artigianalità. Tutto il mercato di massa ha un po’ saturato al livello globale. Le grandi catene ci hanno sommerso di prodotto all’infinito. Parliamo non solo di abbigliamento, ma anche di arredamento, ad esempio. Quindi la soggettività è venuta un po’ meno in questo, ma l’evoluzione della specie vuole invece che venga fuori la soggettività. Per far venire fuori la soggettività chiaramente si ricorre anche ad un’artigianalità che possa esprimere quello che di creativo c’è in ogni ragazzo. Credo che questo sia il percorso naturale.

Qui in Italia abbiamo l'artigianato, know-how eccezionali, anche se in alcuni casi bisognerebbe risollevarlo un po’ e tenerlo stretto invece di svendere. Purtroppo alcuni brand italiani che erano storicamente riconoscibili e particolari nella moda, li abbiamo persi per strada, ad esempio il marchio Gianfranco Ferrè che ha chiuso o Loro Piana venduto ai francesi di LVMH.   

È vero che il consumatore finale continua ad associare i nomi all’Italia, senza prestare attenzione al fatto che alcuni di questi nomi sono stati acquistati da stranieri. Per lui è importante il Made in Italy. Però è anche vero che svendendo perdiamo anche piano piano l’artigianalità locale. Perdiamo lavoro, non formiamo più persone capaci di portare avanti una certa artigianalità. Basta che salti una generazione e certe conoscenze vanno perse.
Per lavoro sono spesso nei laboratori e vedo che in tante lavorazioni c’è una persona anziana che le fa e dice che non c’è nessun ragazzo giovane che è interessato a portare avanti quel tipo di professionalità, questa è la cosa drammatica.

Agli studenti offriamo la libertà di contattare direttamente i laboratori dando loro delle dritte e delle indicazioni, perché per la tesi finale loro devono realizzare i loro capi (quelli che fanno fashion design e abbigliamento devono realizzare degli abiti, quelli che fanno fashion design e accessori realizzeranno scarpe e borse e gli studenti di gioiello realizzeranno dei gioielli in essere), quindi per forza di cose devono farsi aiutare. Qualcuno fa tutto da solo, qui comunque fanno parecchie ore di modellistica e laboratorio, hanno tutta la strumentazione, etc. Ma più di qualcuno si fa aiutare da un laboratorio esterno e questo ben venga perché loro così hanno modo per confrontarsi con la realtà professionale. Anche sapere che tipo di indicazioni dare alla persona che deve cucire piuttosto che alla persona che deve fare i modelli. Così hanno un riscontro e un confronto costante.

Parliamo un po’ di Lei. Quale è stato il Suo percorso?
Ho preso la direzione dello IED Roma Moda dal settembre 2013, e ora la concilio con l’altro mio lavoro, nell’ambito della moda. Sono una ex-studentessa IED Roma Moda, mi sono diplomata nel 1996. Provengo da una famiglia di avvocati e devo confessare che i miei non hanno preso subito bene la mia decisione di studiare moda. Ora ovviamente sono i miei primi fan.


Il diploma allo IED mi ha fatto lavorare da subito. Mi sono diplomata a luglio e a settembre avevo già un contratto in un’azienda molto importante, l’Ittierre. Lavoravo nell’ufficio stile. Nell’Ittierre mi occupavo di Versace Jeans e di D&G, all’epoca erano licenza di Ittierre. Poi sono passata in MaxMara, in Benetton ed ho lavorato come il dipendente fino al 2004.
Poi ho cominciato come una freelance, ed è stata una mia scelta, perché per motivi personali volevo tornare a Roma e gestirmi uno studio di consulenza da qui. Quindi ho cominciato come consulente e lo faccio tuttora.

E in più dal 2010 ho fondato il mio brand di fashion jewellery, si chiama Toi et Moi, è una bigiotteria di lusso, non è rivolta agli specialisti del settore ma ai department store di abbigliamento. Tra l’altro lavoriamo moltissimo con i russi che acquistano il nostro prodotto. 

Fin da subito mi sono occupata degli accessori. Un po’ casualmente all’inizio, anche perché all’epoca, quando studiavo io, non c’era la possibilità di scegliere tra accessori e l’abbigliamento, era un percorso unico, ma poi è diventata una scelta di vita. Quando mi sono trovata con tutte queste scarpe, borse, accessori, mi sono innamorata di questo mondo e non l’ho più lasciato. È diventata una mia grande passione. Per fortuna, anche perché negli ultimi anni gli accessori hanno avuto un exploit pazzesco, e quindi si trovava più lavoro.

L’accessorio richiede tante competenze tecniche. In realtà abbigliamento e accessorio sono due logiche, due approcci diversi. È uno dei motivi per i quali sono stati divisi i corsi di abbigliamento e accessorio allo IED. Ci sono fiere diverse del settore. Tra l’altro noi cerchiamo di indirizzare gli studenti anche sulle fiere del settore. È importante che i ragazzi comincino a sapere che la ricerca materiali si fa in determinati posti e in un certo modo. Ad esempio, i miei alunni vengono con me a Lineapelle, la fiera in cui si ricerca la materia prima per chi fa accessori. Devono sapere come ci si deve confrontare con i fornitori, è fondamentale.
Tornando alla mia storia, due anni fa una mia ex-collega, era docente qui, nel corso di progettazione di accessori, si doveva trasferire all’estero per lavoro e quindi non poteva portare avanti l’insegnamento. E ha fatto il mio nome per sostituirla. Quindi quasi casualmente mi sono trovata qui per insegnare progettazione accessori, per gli studenti del secondo e terzo anno. E poi dopo la docenza è arrivata la proposta di affrontare questo ruolo molto impegnativo, la direzione moda. Ora continuo a insegnare e in più a dirigere.

Mi piace insegnare, tantissimo. Io vivo di passione per tutto quello che faccio, mi piace dedicarmi, perché non riesco a fare le cose tanto per farle. Devo essere sincera, a volte non mi bastano 24 ore al giorno. Non c’è sabato e domenica. Ma lo stimolo che ricevo dai ragazzi è reciproco, mi arricchisce tanto al livello di entusiasmo, per me questo è straordinario. La soddisfazione loro nel vedere poi il risultato è tale che ripaga di tutti gli sforzi fatti. Quindi va benissimo così.

Come direttrice IED Moda che obiettivi pone? Pensa di introdurre qualche novità o cambiamento?
La novità grande è che lo IED Moda è stato riconosciuto a livello ministeriale, quindi da quest’anno usciranno dei laureati. È un riconoscimento importante.

La cosa che cercherò di fare è di coinvolgere sempre competenze diverse, non settorializzarci e rimanere vincolati a quello che è soltanto il fashion system. Sono convinta che domani la differenza tra tanti professionisti sarà proprio la conoscenza, sarà un valore aggiunto che potranno avere i nostri studenti. Oggi tutti si improvvisano a fare qualunque cosa, invece la differenza la fa proprio la specializzazione, le competenze reali, l’artigianalità, la conoscenza, la cultura, la preparazione personale. Sinceramente credo molto nel fatto che si debba studiare, su questo sono un po’ di vecchia scuola.

Che poi, tra l’altro, gli diamo tutte le possibilità per acquistare le competenze reali. Al di là del fatto dei professionisti che hanno come docenti che li riportano già ad una realtà concreta, all’interno dello IED ci sono dei laboratori molto qualificati con dei macchinari di un certo tipo che permettono loro di sviluppare tutto qui dentro. C’è anche una stampante 3D che è la tecnologia del futuro. Non è grande, quindi permette di realizzare degli oggetti di piccoli dimensioni, ad esempio gli occhiali o i tacchi delle scarpe. Anche questa è un’artigianalità, ma evoluta, l’artigianalità del domani, del futuro.

Abbiamo messo a disposizione degli studenti la piattaforma che si chiama WGSN e con cui lavorano tutti i principali brand e aziende importanti del mondo, non solo di moda, è uno strumento altamente professionale, costoso, una piattaforma di informazione e di ricerca che permette di vedere quali saranno le tendenze e le proposte, che c’è nelle vetrine di tutto il mondo, etc. E’ una finestra sul mondo attuale e futuro. I nostri studenti ne possono usufruire qui, hanno a disposizione una sala dove possono lavorare con il computer, portano con se la pennetta USB e si scaricano le immagini e le informazioni. È un plus notevole per loro. Perché oltre a tutto capiscono che anche questo è un lavoro – creare una piattaforma così. Anche la ricerca in giro per il mondo è diventato un lavoro. Sì, è vero, oggi alcune professioni scompaiono, ma se ne creano altrettante nuove.

Aiutate ai vostri studenti anche con l'inserimento nel mondo del lavoro?
I ragazzi vengono seguiti per tutto l’anno successivo alla loro uscita dallo IED. Hanno un referente in sede che fa da tramite tra quelle che sono le richieste nell’ambito lavorativo professionale e i ragazzi usciti. Fa un po’ da tutor. Quindi dà la mano per la diffusione del CV, la gestione della richiesta di lavoro. Anche saper scegliere tra le richieste in modo mirato è molto importante.

Abbiamo rapporti di partnership con molte aziende. Durante il percorso di studi ci sono delle visite del personale di uffici human resourse di varie aziende, tra cui alcune anche molto importanti, durante le quali viene spiegato in che modo viene fatta la selezione, quali sono i requisiti richiesti, come si devono approcciare, quali sono le posizioni aperte. Per i ragazzi sono occasioni straordinarie.

E poi c’è questo fenomeno delle start up che è l’alternativa al job placement. È da circa un anno e mezzo che stiamo monitorando questo fenomeno, si tratta di ragazzi che una volta usciti di qua decidono di intraprendere il proprio percorso personale al livello imprenditoriale. Magari trovano l’idea  che poi sviluppano per poi brevettarla. Alcuni di questi ragazzi stanno avendo un vero successo.

C’è l’opinione che il mondo della moda è fatto di arroganza, di prime donne, etc. Non è proprio così. Certo c’è il direttore artistico e a volte intorno a questa figura si costruisce anche il personaggio che fa funzionare i media e la comunicazione. Ma al di là del direttore artistico ci sono figure che lavorano tanto, che hanno delle competenze reali, che hanno un ruolo preciso e che guadagnano anche tanto. Quindi il lavoro c’è.

Un’altra cosa fondamentale che insegniamo e cerchiamo di sviluppare qui è di saper lavorare con gli altri ed in team. Perché il singolo non fa nulla, per quanto creativa e talentuosa possa essere. Quindi la capacità di sapersi muovere nell'ambito giusto con le persone giuste, saper comunicare e spiegare il proprio lavoro, sapersi affiancare alle persone giuste è molto importante. Bisogna saper capire quali sono i propri limiti e le proprie competenze e partire da qui. Noi  cerchiamo di spiegarlo ai nostri studenti.

Cerchiamo di far capire che oggi avere paura di condividere le proprie idee è sbagliato. Non è questo il problema. Oggi tutti espongono tutto su FB, Twitter, fanno vedere le sfilate in diretta. La capacità, la bravura sta proprio in questo, nello sfruttare la comunicazione nel modo giusto per portarla a proprio favore senza timore che ti copino. Anche perché parliamoci chiaro: se ti vogliono copiare – troveranno il modo per farlo. 

Insomma, ci sono tante cose che insegniamo, mantenendo il passo con i tempi, con le nuove esigenze. Cose che magari è meglio sapere prima di entrare nel mondo del lavoro.

Un consiglio, una qualità importante per quelli che vorrebbero entrare nel mondo della moda?
La cosa fondamentale è la curiosità nei confronti di tutto, del mondo, di quello che è fuori della nostra portata. È l’apertura che può produrre creatività, è la base di tutto. Le competenze si possono acquisire, le esperienze e la professionalità anche, ma se manca la curiosità – non si riesce a fare nulla.

Ovviamente l’elasticità mentale, la predisposizione e la disponibilità di girare, di spostarsi, di muoversi, di aprirsi al mondo sono caratteristiche importantissime. Per fortuna oggi con la tecnologia come skype, whatsapp, etc è tutto molto più facile. Anche la comunicazione.

E poi c’è la globalizzazione che non trascuriamo. Da noi imparano anche altre culture, come ad esempio quelle orientali, di Cina, di Giappone, che sono molto diverse dall’europea. Nel futuro queste conoscenze saranno utilissime per loro nel lavoro e nella vita.

Tre dei vostri studenti diplomati allo IED Roma Moda partecipano nella prima edizione del  talent reality sulla moda Project Runway Italia. Fanno parte di dodici finalisti selezionati tra più di 3000 partecipanti, e chissà forse un giorno diventeranno famosi.
Tre su dodici finalisti è già un ottimo risultato, direi. Sono Silvia Burigana, Jacopo Teodori e Giorgia Fiore. Li abbiamo sostenuti e siamo molto contenti per loro.

Oggi come oggi questo tipo di progetti funzionano, danno la visibilità e possono diventare un trampolino. E poi con il supporto dei vari social networks si innescano dei meccanismi imprevedibili. Uno che magari è stato scartato dalla giuria può diventare il vincitore morale e amatissimo dal pubblico.

Tra i vostri diplomati degli anni passati ci sono già dei nomi famosi o quelli che hanno raggiunto il successo?
Ci sono delle grandi storie di successo. Ad esempio, i direttori creativi di Maison Valentino, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, sono ex-studenti dello IED Roma. Come anche Giambattista Valli. Tra gli altri anche Benedetta Bruzziches, la finalista del concorso Who Is On Next? nel 2012, organizzato da Vogue Italia. Fa borse, ha creato il laboratorio nel suo paesino vicino a Viterbo, a Caprarola, ed è una di quelle persone che crede tanto nell’artigianalità e nel fatto di rimanere nel proprio posto. Benedetta è un grandissimo personaggio anche a livello comunicativo e personale. Anche Marco De Vincenzo, già visto alle passerelle di Parigi, ora parzialmente acquisito dal gruppo LVMH di Bernard Arnault. 

Ad un certo punto l’intervista ha preso tutta un’altra direzione e abbiamo cominciato a parlare del film “La Grande Bellezza” che aveva appena vinto l’Oscar. Mara ha confessato di essere una fan sfegatata sia di questo film sia di Paolo Sorrentino e di Toni Servillo, ancora molto prima di questa pellicola.

“La Grande Bellezza l’ho visto due sere di seguito, quando è appena uscito al cinema. Secondo me è un film da rivedere. Ci sono delle scene bellissime, dei dialoghi talmente studiati, talmente geniali, che bisogna rivederlo.

Non ero convinta che avrebbe vinto l’Oscar, non è mai una cosa scontata. Mi dispiace che ci siano state tante critiche in Italia dopo la vittoria. Questo è esattamente la fotografia di quello che succede in Italia con qualunque tipo di prodotto. Purtroppo siamo penalizzati in Italia e siamo valorizzati all’estero.”

A questo punto Le chiedo del Suo legame con Roma? Che cosa ama o forse non ama di questa città e della sua gente? 
Sono nata a Roma, cresciuta a Latina, ritornata a Roma per gli studi allo IED, riandata via per lavoro e infine ritornata per lavoro. Il mio rapporto con questa città è di grande amore, senza odio. Roma mette allegria, è cordiale, si fa perdonare tutto. È una frase che ho sentito e per me è così, è la perfetta descrizione di questa città.  

Anche se devo essere sincera, non la vivo da romana, cioè con il traffico, la burocrazia, file, scioperi, etc, insomma, non vedo il suo lato faticoso che vede la gente che ci vive qui giorno dopo giorno. Ci vengo da persona che abita fuori e quindi si prende solo il bello. Ci ho vissuto gli anni più belli, da studente, quindi il mio rapporto con questa città è solo positivo, solo di bei ricordi.

Il rammarico purtroppo è che spesso in primo piano escono le cose negative, legate magari al mal gestione, malgrado invece di quello che di positivo c’è. Ma non voglio scendere nel merito di quello che è la politica e la gestione amministrativa.

Infine qualche Suo indirizzo o posto preferito a Roma?
Il mio indirizzo preferito, proprio perché è legato a ricordi e momenti felici è la zona di piazza Fiume dove ho vissuto per quattro anni. Per me quella zona è la libertà. Amo molto la sua atmosfera di quartiere, del piccolo paesino nel pieno centro.



Fotografie - Antonio De Paolis