mercoledì 13 giugno 2018

Intervista con Stefano Donaudy Mastelloni del ristorante Filodolio Cucina Extravergine

Quando avevo visitato il ristorante Filodolio Cucina Extravergine per la prima volta, a fine dell'anno scorso, avevo subito pensato che dovevo intervistare per il mio blog il suo fondatore, Stefano Donaudy Mastelloni. Era stato troppo interessante scoprire il mondo dell'olio d'oliva che in realtà è il fil rouge del menu di questo ristorante, la sua base e idea principale. E poi Stefano parlava di questo ingrediente, fondamentale per la cucina italiana e mediterranea, in modo talmente coinvolgente toccando molti aspetti interessanti e anche importanti che infine mi era venuta la voglia di approfondire questo discorso.




Ed ecco, qualche mese dopo, mi sono ritrovata qui di nuovo, per intervistare Stefano.

Mi racconti della Sua attività. Innanzitutto perché l'olio d'oliva?
Perché è un’eccellenza che conoscono all’estero, un’eccellenza straordinaria dell’agricoltura italiana che purtroppo gli italiani non sanno apprezzare perché semplicemente non la conoscono. Un italiano medio preferisce ahimè comprare un olio non buono spendendo poco, perché non ha ancora fatto quel salto culturale che gli consente di capire che l’olio extravergine d’oliva non è solo un condimento, ma anche un esaltatore di sapore e che per essere buono deve essere costoso, ma vale comunque la pena di assaggiarlo.




Un po’ come con il vino?
Esattamente! Quello che io e tutte le persone che si occupano in questo momento dell’olio vorremo cercare di far fare alle persone è un salto culturale come c’è stato 30 anni fa con il vino. Prima in Italia del vino se ne conosceva poco e niente, si beveva bianco e rosso, si comprava il vino al supermercato con il tappo a vite. Adesso non è che tutti sono diventati esperti, ma comunque le cose sono decisamente migliorate. Basta vedere quante enoteche sono nate negli ultimi 30 anni.


Ed io penso che sull’olio si possa percorrere esattamente la stessa strada e vedo anche dei segnali incoraggianti. Per esempio, a Roma ci sono due olioteche che vendono olio di qualità che mi raccontano che il volume d’affari sta aumentando e il loro fatturato è in crescita, le cose stanno andando meglio, c’è sempre più gente che si informa, che si interessa, che assaggia. Io voglio divulgare una cultura, questo mondo.

Quando e come è nata l'idea di aprire questo ristorante?
É nato per caso. Io nella vita facevo tutt’altro, facevo il dirigente d’azienda di un altro settore, non sapevo niente né di food, né di alimentazione se non perché mangiavo o cucinavo a casa, che tra l’altro è tutta un’altra cosa. Mi capitò circa 12 anni fa di andare a mangiare in un ristorante a Milano, che adesso non c’è più, che però aveva iniziato a ragionare su questa formula, cioè proponeva delle degustazioni di olio, e dei piccoli corsi. C’era l’olio come protagonista, aveva il nome che evocava l’olio e proponeva una serie di oli extravergine d’oliva di qualità. E lì avevo scoperto un mondo che non conoscevo! Avevo scoperto che ne esistevano tantissimi tipi, che sono diversi a seconda dell'abbinamento che vuoi fare, che possono esaltare un piatto così come possono rovinarlo, etc. E mi dissi all’epoca “Ma che cosa bella, mi piacerebbe farla!”. Però sai sembrava uno di quei sogni che uno dice e poi non realizza mai. Ma dopo una decina d’anni ho deciso effettivamente di cambiare tutto e di mettere su questa attività.

Così, dopo una serie di problemi e vicissitudini, nell'ottobre del 2016 ho aperto questo ristorante, nel quartiere Africano. E' una zona residenziale, medio-borghese con il livello di abitanti medio-alto.




Al di là dell’olio io cerco di proporre una cucina di buona qualità. E devo dire che da noi vengono anche persone che comunque non sono particolarmente appassionate dell’olio, ma ai quali piace mangiare bene e piacciono i piatti che proponiamo. Io, per far funzionare l’attività, ho bisogno sia degli esperti d’olio, ma anche dei buongustai.

Quindi possiamo definire la vostra una cucina d’autore?
Assolutamente sì! Il nostro chef si chiama Alfonso Aquino, è napoletano, 25 anni, lavora con me da settembre 2017. Ha fatto varie esperienze con tanti ristoranti, anche stellati, l’ultimo è di Oliver Glowig. Alfonso è riuscito ad interpretare perfettamente il mio progetto, cioè partire dalla cucina mediterranea, con delle variazioni, in modo tale che poi questi piatti potessero accogliere l’olio, perché la cifra stilistica del ristorante, la sua caratteristica, è che ogni piatto ha il suo filo d’olio.




Da qui anche il nome del ristorante – Filodolio. Noi trattiamo una serie di oli, ne abbiamo più di una dozzina, di varie regioni. Ogni olio ha le sue caratteristiche organolettiche, in termini di varietà, di polifenolicità, dei sentori di amarezza e piccantezza. Tutto questo influisce sul gusto, profumo, sapore, colore e naturalmente influisce nel piatto.

Quando spiego ai miei clienti, magari un po’ scettici, l’abbinamento dell’olio faccio sempre un esempio: mettereste mai una Falanghina su uno stracotto o un Barolo con del pesce lesso? No! Ecco, e perché invece usate solo un olio con tutto? E la differenza fra il vino e l’olio è se io sbaglio l’abbinamento del vino, tolgo il bicchiere, cambio il vino e me ne verso l’altro; l’olio invece va finire dentro il piatto e questo significa che modifica il sapore del piatto. In una casa devono esserci almeno tre tipi di olio, perché ogni tipologia può star bene o meno con ogni piatto. 

Comunque da noi lo chef decide il piatto e io decido l’abbinamento con l'olio, io sono il sommelier dell’olio. L’importante è che lo chef capisca, come effettivamente ha capito, qual'è il mio progetto e mi proponga dei piatti che possano essere arricchiti con l’olio. Comunque andiamo d’accordo. 

Si può addirittura usare l’olio anche nei dessert?
Noi abbiamo quattro dolci e tre di loro sono accompagnati da un filo d’olio crudo. Anche lì naturalmente ci vuole un filo d’olio giusto.

Organizzate degli eventi speciali, dei corsi, approfondimenti?
Facciamo degli appuntamenti con una cadenza più o meno mensile che si chiamano “L’olio extravergine incontra”. E spesso li facciamo a carattere regionale, ad esempio, olio e vini di Sicilia, olio e vini di Toscana, olio e piatti di Campania, etc. 

Come funzionano le nostre degustazioni? I clienti hanno davanti quattro bicchierini numerati. Gli insegniamo in pochi passaggi come fare l’analisi gustativa dell’olio e gli stimoliamo a raccontarci quali sono i sentori, etc. Raccontiamo quali sono gli oli, dopodiché escono i piatti senza condimento e sono i clienti a decidere su ogni piatto quale olio va crudo. E' divertente!



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Una regola d'oro quando si sceglie l'olio d'oliva? Che gusto, sapore, profumo ha buon olio d'oliva? Supermercato sì o supermercato no?
No, supermercato no. O come minimo nel supermercato cercate di scegliere oli di denominazione d’origine che comunque non costino meno di 8-10 euro al litro. Altrimenti lo potete comprare anche a 3 euro, ma mangiate un’altra cosa. Mangiate un olio scadente che non potrebbe nemmeno avere la denominazione di olio extravergine d’oliva.

Cercare di imparare a capire quale l’olio è buono, lo si fa soltanto assaggiandolo. Dove? Da me, per esempio! Da me si può anche acquistare l’olio che usiamo, anche se i prezzi possono spaventare, ma io tratto gli oli di qualità molto alta e di conseguenza cari. Esistono degli oli di buona qualità di fascia media.


Spendere o non spendere nell’olio non è una questione di povertà. La gente ormai è disposta a spendere nel vino, ad esempio 20 euro per una bottiglia che bevi in una sera. Però non è disposta spendere gli stessi 20 euro per una bottiglia d’olio che durerà un mese. É sempre la questione del salto culturale, della cultura del consumo.

Altre regole d’oro riguardano la conservazione. L’olio va conservato in bottiglie scure, lontano dalla luce e lontano dal calore. Se fa troppo freddo, non si rovina, se fa troppo caldo – sì. Deve stare in un luogo ombreggiato, al fresco, ad una temperatura massima di 20 gradi. Un altro nemico dell’olio è l’ossigeno. Se conservate l’olio in bottiglie troppo grandi che rimangono aperte troppo tempo l'olio si rovina, si ossida. Se lo mettete vicino ad altri odori, prende gli altri odori. L’olio è una spugna. Inoltre l’olio si rovina molto rapidamente, chi compra il "boccione" e se lo tiene per un anno fa un errore pazzesco, non ha senso. 

Un buon olio deve essere riconoscibile perché intanto deve avere in bocca un sentore di vegetarità, quindi bisogna sentire l'erba, la mandorla, la foglia del pomodoro, il carciofo, bisogna sentire il verde. E poi deve essere sia amaro che piccante, poco o molto, ma queste due caratteristiche ci devono essere sempre. Se una di queste due caratteristiche manca – non è buono. Il buon olio non deve lasciare in bocca il sapore dell’unto o di grasso, deve dare il senso di freschezza. Quando ti abitui ad assaggiare il buon olio il processo diventa irreversibile, non torni più indietro. 

Il miglior periodo per acquistarlo?
L’olio si compra tutto l’anno, ma a differenza del vino l’olio è più buono quando è appena fatto. Quelle caratteristiche che ha l’olio a novembre-dicembre (più forte, più amaro, più piccante) ad aprile non le ha più, piano piano le perde. Certo, dipende anche dalla qualità dell’olio. Gli oli di gran qualità dopo un anno e mezzo sono ancora buoni, ma non sono mai come quando l’olio è nuovo. 

Esistono le annate, come con il vino?
Sì-sì, però a differenza dal vino l’olio deve essere consumato entro normalmente un anno da quando è stato prodotto. Comunque ci sono le annate migliori e le annate peggiori, molto dipende dalle condizioni climatiche. Se piove troppo nella stagione di maturazione le olive diventano acquose; se il clima è troppo secco si produce molto meno ed è più forte perché le olive hanno meno succo.


Come siamo messi in Italia con l’olio? Possiamo dire che gli oli italiani sono i migliori nel mondo?
Possiamo dire che gli oli italiani eccellenti sono i migliori del mondo. Gli oli italiani eccellenti rispetto al percentuale dell’olio italiano che si produce rappresentano il 2%. Quindi se andiamo sulla media la risposta è no. 

Ma perché questa situazione?
La mia opinione è: visto che il consumatore medio spende 3 euro, si produce un olio che accontenti il gusto, le tasche, l’ignoranza di un consumatore medio. Se non si fa un salto culturale ai grandi produttori che vogliono fare un grande guadagno piuttosto che cercare di infilarsi nella nicchia (che poi infilarsi nella nicchia è difficile perché a questo punto devi fare un olio veramente buono, perché chi lo usa sa riconoscere l’olio buono) conviene fare un olio scadente. Quindi o lo fai meraviglioso e sei nella nicchia oppure ti conviene farlo scadente perché lo vendi. 

Inoltre, in Italia è più difficile raccogliere le olive, anche a causa della geografia, se ne coltivano di meno, quindi è più costoso per forza, rispetto, ad esempio alla Spagna. Però il nostro è migliore. Ma è più caro. D’altra parte è più caro, ma è migliore. Dipende dal punto di vista. 

Io sono assolutamente convinto che l’olio extravergine italiano nei suoi picchi d’eccellenza è il migliore del mondo. Questo non significa che l’olio spagnolo sia cattivo. Gli oli spagnoli sono meravigliosi. Noi abbiamo le condizioni climatiche ideali per fare un olio di ottima qualità, ma non sono ideali per farne tanto e per raccoglierlo. Che però fa di lui un prodotto più prezioso, ma anche più costoso.

Bisogna anche dire che molti produttori hanno l’opportunità, ma non vogliono investire nello sviluppo. E non vogliono creare il sistema nazionale. E' il solito male italiano.

Esiste una fiera importante dell’olio?
Intanto a Vinitaly adesso c’è la sezione dell’olio. E poi In Italia ci sono moltissimi eventi, fiere e manifestazioni, ogni anno ce ne una nuova, dove ci sono dei produttori che fanno assaggiare (solo a Roma ce ne sono due: Evoluzione e Flos Olei), e tanti vari premi ai migliori oli d’oliva (Il Magnifico, Ercole Olivario) che ogni anno richiamano più gente. Ovviamente c’è l’Associazione Italiana Sommelier dell’olio e anche essa organizza ogni anno dei premi al miglior sommelier e al miglior olio. Insomma, è un mondo in movimento e secondo me in crescita. 

Quale zona di produzione dell'olio è la Sua preferita?
La risposta è difficile visto che ogni olio è diverso e si abbina diversamente ai piatti. Quindi dipende. A me piacciono molto due oli. Uno viene dalla Sicilia dell’azienda Titone, è un blend di varie tipologie di olive siciliane. Un altro è l’olio umbro che si chiama Emozione prodotto da Decimi, è un blend di olive dell’Italia Centrale. Il primo è un olio più profumato, più mediterraneo. Il secondo è l’olio più strutturato, più forte, più intenso. Ovviamente vanno associati a piatti diversi. Questi sono i miei preferiti, ma è molto soggettivo. 

Che cosa le piace del Suo lavoro?
Il contatto con le persone, conoscere, parlare, raccontare la mia esperienza, raccontare quello che vogliamo fare, descrivere la nostra idea, la nostra offerta. E poi mi piace assaggiare! Fantastico, visto che sono io quello che decide gli abbinamenti. Ho aperto il ristorante perché mi piace mangiare e voglio che le persone nel mio ristorante mangino e abbiano lo stesso piacere che traggo io dal mangiare.


Il Suo legame con Roma? Che cosa ama o non ama particolarmente di questa città?
Io non sono di Roma. Sono nato e vissuto a Napoli e mi sono trasferito a Roma con la mia famiglia quando avevo 16 anni, adesso ne ho 52. Ma mi sento comunque napoletano, sempre, non ho mai smesso di essere napoletano. Sono un napoletano che vive e lavora a Roma.

Ora mi trovo qui come qualsiasi romano in questo periodo. Diciamo mi trovo bene, ma mi sono trovato meglio in altri tempi, negli anni 80-90. Adesso Roma è diventata una città molto difficile da vivere. A volte pericolosa, sporca, disorganizzata. A volte anche il rapporto con il romano medio è complicato. Insomma, da grande amore è diventato un affetto. Ma comunque sto bene qui, ho tanti amici. E poi parliamo sempre di Roma, una delle città più belle del mondo! 

Qualche Suo indirizzo o posto preferito a Roma?
Un quartiere di Roma, Monti, che mi piace molto. Sono appassionato di storia della Roma antica. Monti era la suburra. Oggi Monti rimane ancora affastellata, ammassata, con i vicoli stretti, ma secondo me ha un fascino pazzesco. Ha mantenuto la sua anima da borgo. 


Fotografie – Antonio De Paolis e ufficio stampa ristorante

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