sabato 24 giugno 2017

Una giornata con Gustavo Aceves

Con Gustavo Aceves ci siamo conosciuti a Roma in febbraio durante la presentazione del volume “Gustavo Aceves. Lapidarium” pubblicato da Palombi Editori in occasione della sua mostra Lapidarium. Durante quella presentazione ho avuto la possibilità di parlare con Gustavo e di chiedergli l’intervista per il blog Rome insider. Ed ecco, qualche settimana dopo mi arriva la sua telefonata: mi invitava a casa sua a Pietrasanta nel weekend per parlare e fare qualche foto. Detto – fatto!

Da sinistra a destra: Iana Nekrassova, Jose Luis Gutiérrez, Aimèe Hoffmann, Gustavo Aceves


Una brevissima bio: Gustavo Aceves è nato in Messico nel 1957. Non ha fatto studi artistici presso specifiche scuole, ma si è formato da autodidatta. Ha iniziato come pittore e solo in seguito si è accostato alla scultura. Dal 1970 inizia ad esporre in tutto il mondo, come al Museo del Palacio Bellas Artes a Mexico City, alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Pechino solo per citarne alcune. Ha lavorato per un periodo a Parigi, poi nel 2012 si è trasferito a Pietrasanta.

Pietrasanta la chiamano anche la Città d’Arte. Non a caso, perché questa piccola città in Toscana ha ospitato ed ospita tantissimi artisti dai tempi di Michelangelo fino ai giorni nostri. Ci sono tante botteghe artigiane e fonderie. Ormai è un museo a cielo aperto, qui si trovano delle opere sparse per tutta la città di Igor Mitoraj, Fernando Botero, Kan Yakuda e moltissimi altri.





Gustavo ci ha fatto entrare nella sua vita come se fossimo amici di vecchia data. Capita a volte di incontrare una persona e sembra che la conosci da tutta la vita tanto è facile comunicare e capirsi. É tutta una questione di chimica. Con Gustavo tutto è stato semplice. É un uomo gentile, allegro, leggero, generoso e ospitale, con grande senso di umorismo e con i modi di un vero gentiluomo che oggi mancano tanto e a tanti. Uomo elegante e di classe. Quando ci siamo incontrati (fine aprile) era già molto abbronzato. Il suo abito di lino e la sciarpa color celeste sottolineavano la sua abbronzatura ancora di più. É una persona solare che ama la vita. Un uomo che fa venire in mente i protagonisti dei grandi classici latinoamericani.


Gustavo Aceves

Era di ottimo umore nonostante il braccio rotto ingessato. “Mentre mi mettevano il gesso ho pensato quanto sono poco artisti questi dottori”, ha detto scherzando.



Ci siamo incontrati nella sua bella casa a pochi passi dal mare, piena di sole e luce, con un bel prato verde dove si divertiva Leon, il suo allegro e curioso airedale terrier. “In realtà è il cane di mia figlia, ma è partita ed ora tocca a me occuparmene.”




Prima di andare a casa sua siamo passati nel suo studio accompagnati dalla PR Aimèe Hoffmann e dal artista e collaboratore Jose Luis Gutiérrez. Si trova in un enorme capannone, un posto che sprigiona tantissima energia! Qui si conservano i modell, i pezzi e i calchi delle sculture, forme di tutte le dimensioni, dalle più piccole a quelle enormi. Tutto fermo, immobile in attesa dell’artista, ma allo stesso tempo tutto sembrava vivo.











A casa Gustavo ci ha offerto del prosecco e abbiamo iniziato la nostra conversazione, troppo intima, troppo da amici per definirla un’intervista.


Gustavo, come nascono le idee? Il lavoro creativo non è solo istinto puro, è anche capire, sentire a livello intuitivo quello che c’è nell’aria?
Ti racconto un esempio. Quando mi hanno invitato a partecipare alla Biennale di Pechino ero a Parigi. Mi sono incontrato con il direttore della Biennale nel Cafè Le Procope, il ristorante più antico di Parigi, è del 700. Dopo l’incontro mi chiedevo cosa potessi fare per la Biennale di Pechino, ho ripensato a Le Procope, che a suo tempo era il centro d’incontro per tutti gli intellettuali, così ho collegato questi elementi, il ristorante, l’intellighenzia, i diritti dell'uomo e la Cina, ed è venuta l’idea. Il mio dipinto era Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dove la Dichiarazione era trascritta in ideogrammi. In realtà ogni progetto ha in sé una parte che non è molto razionale e a volte anche casuale.

Qualche parola su come è nato Lapidarium. 
Nel 2008 Francesco Buranelli, già direttore dei Musei Vaticani e segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, era a Pechino per una conferenza su arte e fede, lui era nel mio stesso albergo e vide il quadro che interpretò come rappresentazione di martiri cristiani. Ha seguito in quei giorni tutta la fase in cui io venivo interrogato dalla polizia per questa mia opera, si è così creato un legame e quando il Vaticano ha deciso di partecipare, per la prima volta, alla Biennale di Venezia Buranelli creò un gruppo di 5 artisti tra cui c’ero anch’io.

Mi sono incontrato con Buranelli a Parigi dove all’epoca vivevo e avevo lo studio. Ho iniziato a pensare a quale potesse essere l’opera da presentare, quindi a Venezia.

Il patrono di Venezia è San Marco, ho letto della vita di San Marco. Aveva creato la sua prima chiesa ad Alessandria d'Egitto. Sono andato ad Alessandria dove ho visto una bellissima barca. Poi ho pensato al monumento più importante di Venezia, la Basilica di San Marco, dove si trovano i suoi resti, decorata con i cavalli, la quadriga. Sono state queste le basi per il progetto Lapidarium.

Inizialmente nello studio di Parigi non sapevamo bene dove questa idea ci avrebbe portato, univamo dei pezzi dalle barche prese al museo della Marina agli scheletri degli animali preistorici presi in un altro museo. Poi unendo questi pezzi è venuta l'idea del naufragio che ha portato subito ad una parola “Lampedusa” e rifugiati.

Abbiamo iniziato a fare dei disegni ma ben presto è stato chiaro che con la pittura non si sarebbe arrivati a finire il progetto, occorreva qualcosa di tridimensionale e quindi la scultura, a questo punto è stato chiaro che l'unico posto dove poi si sarebbe potuto realizzare questo progetto era in Italia a Pietrasanta. Quindi mi sono trasferito con i miei collaboratori a Pietrasanta dove il progetto è stato sviluppato.




L’ambasciata messicana ha avuto un ruolo durante lo sviluppo del progetto?
No, noi siamo degli outsiders quindi abbiamo sviluppato il progetto e lo abbiamo portato avanti in autonomia, ci siamo occupati di tutto. Poi certo, è arrivata l'ufficializzazione da parte dell'ambasciata che comunque è sempre necessaria e senza la quale sarebbe difficile realizzare tali progetti. È accaduto a Berlino, è accaduto a Roma, è sarà così anche per la prossima tappa.

Come è nata la sua passione per l'arte? C'era qualche artista in famiglia oppure c'è stato un evento particolare che l'ha avvicinato all'arte?
Non ho fatto alcuna scuola artistica, ma ho viaggiato molto per il mondo e molto in Italia. Firenze è importante per il disegno, Venezia per il colore, Roma per la scultura. Sono un autodidatta, ho fatto degli studi personali visitando musei, cercando di capire, guardando come avevano lavorato i grandi maestri.

Ha o ha avuto in passato un artista di riferimento?
E’ difficile dirlo perché ogni periodo ha un suo artista importante e quindi non ce n'è uno che prevale sugli altri. Sicuramente per me è stata importante la formazione culturale in Italia ma anche la pittura fiamminga.

Dopo un po’ ci siamo spostati in un ristorante di pesce al mare dove la conversazione è diventata ancora più sciolta e allegra. Effetto del buon cibo e del vino, sicuramente! Siamo andati via per ultimi. All’inizio cercavo ancora di registrare, memorizzare tutto ciò di cui si parlava, ma dopo ho smesso, troppe cose e troppo personali sono state dette. 

E’ via da tanto dal Messico, Le manca?
Sono molti anni che non vivo in Messico e di tanto in tanto mi manca, ma torno almeno una volta l'anno, la cosa che manca sempre in genere è la famiglia e il cibo (sorride - ndr). Tornerò per la tappa finale di Lapidarium che sarà in Messico a Teotihuacan la città azteca, in realtà sto già lavorando a quel momento finale della mostra. A Teotihuacan c'era una cultura multietnica, c'erano gli Olmechi, i Maya, i Toltechi, pertanto era un centro importantissimo della Mesoamerica. In un primo momento avevo pensato di chiudere la mostra a El Zòcalo, la piazza principale di Cittá del Messico, ma non ero convinto di questa scelta e qui arriva la parte metafisica del progetto. Infatti una notte mentre riposavo ho visto Teotihuacan e ho capito che doveva essere lì la fine della mostra. Dopo l’arrivo degli spagnoli Teotihuacan era completamente distrutta e solo nell'Ottocento sono iniziati dei lavori di pulitura e restauro migliorati nel novecento. Mai in 500 anni dalla distruzione di questa città si sono tenuti eventi culturali a Teotihuacan. Ci sono stati alcuni eventi di luci e musica ma erano spettacoli di intrattenimento non eventi culturali.

Lei in Italia come si trova, avendo vissuto anche a Parigi, Le piace vivere qui?
Io per vivere preferisco Parigi ma se dovessi scegliere un altro paese sceglierei l'italia, questo paese ha sempre il suo fascino.

E il suo rapporto con Roma, Le capita spesso di andarci?
Con Roma c’è poco rapporto, c'è stata la mostra ma nulla di più, mentre invece è buono il rapporto con l’amministrazione culturale di questa città, altrimenti non sarebbe stato possibile ricevere le autorizzazioni per posizionare le opere ai mercati di Traiano e al Colosseo.

E poi, dove ancora trovi una piazza del Fico, io gioco a scacchi e quello è un posto che mi piace molto. Mi piacciono anche i romani.


A casa Sua ho visto molti libri, ha una grande biblioteca, immagino che Le piaccia molto leggere, che genere preferisce in particolare?
Sì, mi piace molto leggere ma non ho delle preferenze. Tempo fa un giornalista mi fece questa domanda e io non sapevo cosa rispondere proprio perché non ho un autore o una categoria che preferisca, quello che leggo dipende dal giorno, dall’ora, dalla settimana, praticamente dal mio stato d'animo. Leggo più libri contemporaneamente, ad esempio sabato e domenica leggo della narrativa ma durante la settimana dovendo lavorare leggo dei saggi brevi.

Legge solo libri stampati o utilizza anche l'editoria elettronica?
(Ridendo - ndr) Io sono vecchio, preferisco Gutenberg!

Dopo siamo andati in spiaggia dove erano esposte alcune sculture di Lapidarium. I numerosi turisti le fotografavano, guardavano, toccavano. Qualcuno cercava anche di arrampicarsi per fare le foto. Gustavo non ne sembrava molto felice: “Domani chiederò di toglierle da qui, sono opere d’arte, non è un parco di divertimento. In questo contesto perdono il loro significato, il senso. D’inverno quando c’è poca gente in spiaggia, era meglio, più suggestivo.”






Lei lascia che chi guarda la sua opera arrivi al concetto che lei ha voluto esprimere oppure l’importante è che l'opera emozioni al di là del messaggio che voleva inviare?
Le rispondo con questo ritaglio di giornale. Abbiamo fatto una mostra a Firenze nelle Cappelle Medicee della Basilica di San Lorenzo. Avevo portato una installazione, una barca con 12 personaggi. Il titolo dell'articolo dice “I migranti hanno il volto di Gesù”, è evidente che in questo caso il messaggio è arrivato senza che io dicessi nulla o facessi nulla per evidenziarlo. Ne ero contento.

Ho chiesto a Gustavo se non gli dispiaceva separarsi dalle proprie opere, di lasciarle andare. “Ragioni come una donna, hai una visione materna. Per te sono come se fossero dei figli. Per me sono solo le mie opere.”




Quando il progetto sarà concluso cosa accadrà a tutte queste statue?
Non so ancora dove andranno, io vorrei che rimanessero insieme. Sento la responsabilità verso questa opera anche per tutte le persone che ci stanno lavorando in questi anni, mettendo in secondo piano i propri progetti personali.

Un'idea potrebbe essere quella che una fondazione acquisti i cento cavalli, li metta in un museo o ne crei uno apposta per questa opera, così che tutti la possano vedere. Sarebbe bello che il governo messicano acquistasse i cavalli creando un museo dedicato.


Abbiamo concluso la giornata in piazza principale della città, gremita di gente sabato sera. Siamo andati nel bar Pietrasantese per prendere un aperitivo e abbiamo continuato a parlare fino a tarda sera, del passato, del presente, del futuro. Di Ulisse e i suoi viaggi. Di Italia, Francia, Messico. Di famiglia e amici. Di vita. 

Non è stata un’intervista vera e propria. Ma è stato un giorno indimenticabile in compagnia di un grande artista che si è rivelato anche un grande uomo, un uomo vero, forte e debole, pieno di idee, profondo, generoso nel raccontare e condividere alcuni fatti, storie, pensieri, momenti della sua vita e del suo lavoro. 

Fotografie - Antonio De Paolis

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