Premessa: inizialmente non avevo nessuna intenzione di
andare a vedere il film "Stalingrad" di Fedor Bondarchuk. Quando ho visto il
poster e il trailer del film, non sono rimasta colpita per niente, anzi, mi ha quasi dato
fastidio lo stile troppo “hollywoodiano”. Anche tutta la polemica in Russia
intorno a questo film non prometteva niente di buono. Ma quando ho trovato
questo film nel programma del 8 Festival Internazionale del Film di Roma (fuori
concorso), ho deciso che criticare, per di più senza aver visto, è la cosa più
facile e meno corretta. Così, per decidere una volta per tutte, ho deciso di
andare a vederlo.
La prima proiezione c’è stata domenica sera. Già l’ingresso
è stato in stile “attacco su Stalingrado”. Il subbuglio era creato da una
signora del personale dell'Auditorium che con la sua voce forte segnata da un
riconoscibile accento slavo stava dando indicazioni sulla fila dove mettersi,
insisteva sul lasciare gli ombrelli e zaini in guardaroba e continuava a ripetere che
probabilmente i posti in sala non basteranno per tutti. Questo suo urlare ha
infine creato una agitazione totale, così tutti hanno dimenticato del tappeto
rosso su cui in quel momento sfilavano Bondarchuk e gli attori e si sono
messi nella hall in fila. Infine, tutti sono riusciti ad entrare, sia il
pubblico che gli accreditati (secondo me c’erano ancora dei posti liberi),
anche se un po’ stressati da questa prima accoglienza. Devo dire che dal punto
di vista organizzativo il festival ancora zoppica, ma non voglio fermarmi su
questo ora.
Per due terzi la sala era composta dai spettatori russi.
Alla premier erano presenti il regista Fedor Bondarchuk, il produttore
Aleksandr Rodnianskij, gli attori Petr Fedorov, Thomas Kretchmann, Maria
Smolnikova, Yanina Studilina.
Ma detto questo non voglio criticare Fedor Bondarchuk.
Perché capisco che ha fatto il film non per la mia generazione, ma per quelli
che oggi hanno vent’anni e non sanno nemmeno che cosa sia la storia di
Stalingrado. È un film per quelli che non guarderanno mai “Qui le albe sono
quiete” perché per loro il cinema di guerra è solo in 3D e con gli effetti speciali.
Bondarchuk ha fatto un film moderno che parla di guerra.
Cercando di raccontarla ai giovani. Provando di dimostrare che anche i russi
possono fare non solo il cinema d’autore per pochi eletti, ma anche dei
blockbuster in stile Playstation. Senza dimenticare di ricordare, allo
spettatore occidentale in primis, che la guerra è stata vinta non solo dagli
americani. Per questo c’è tanto patriottismo, a volte un po’ esagerato. Ma va
bene così. Gli stessi americani lo dimostrano, questo patriottismo,
dappertutto, spesso anche troppo.
A parte di film vorrei nominare le mostre "Massimo regista" e "Ritratti di Anna" presentati in Auditorium e dedicati rispettivamente a Troisi e alla Magnani, e la mostra "Bellissime, icone di ieri nella Roma di oggi" nella Casa del Cinema, e ancora gli incontri con gli attori e registi come Jonathan Demme, Spike Jonze, Christian Bale, Casey Affleck, Wes Anderson e tavole rotonde una delle quali è dedicata al regista russo Aleksej German e al suo ultimo film “Difficile Essere Dio” che sarà presentato al festival.