Con
Michela Fasanella, la giovane designer romana fondatrice del brand
Aroma30, ci incontriamo nel suo studio, nascosto dietro una porta
all’apparenza anonima nel quartiere Pigneto. Lo studio è molto
bello, un loft con il tetto di vetro dal quale passa la luce che
invade tutto lo spazio. Una rapida occhiata per capire senza
sbagliarsi che è uno studio di designer di moda: gli schizzi, i
moodboard, i manichini, uno grande specchio, le riviste e i libri di
moda, i rulli di tessuti, le matite, tutto lo conferma. Lungo una
parete sono esposte in fila le sue creazioni sfumandosi dai toni
chiari in seta e organza trasparente verso il nero in jersey.
Dopo
aver visto i capi e dopo aver parlato con Michela capisco che è lei
l’incarnazione
dello spirito delle sue collezioni: una donna bella,
sofisticata, graziosa, ma allo stesso tempo forte e sicura, con le
idee chiare e ben precise, con la determinazione di proseguire sulla
sua strada nel mondo della moda e del lavoro in proprio. Ma questo
pensiero arriva alla fine dell’intervista. Cominciata come sempre
con le domande su come tutto è nato.
Michela,
mi racconti della Sua attività, delle Sue esperienze degli studi e
del lavoro.
Prima
ho studiato in Italia, qui a Roma, all’Accademia di Costume e Moda,
e poi ho fatto un corso di Fashion Design & Marketing a Londra,
al Central St Martins College, mi interessava
approfondire la parte marketing della moda.
Poi
sono tornata in Italia dove ho fatto le prime esperienze lavorative,
tra cui Valentino e Salvatore Ferragamo. E poi ho cominciato a
collaborare con una sartoria e fare delle piccole cose, a
sperimentare qualcosa per conto mio.
Dopo
ho deciso di trasferirmi in Inghilterra dove ho vissuto tre anni. Ed
il marchio è iniziato lì commercialmente, nel 2010 mi sono registrata come self-employed ed ho partecipato alla
London Fashion Week. Questo è stato il lancio.
Sorge
una domanda: è più facile farlo all'estero che in Italia?
Molto
più facile, è un altro mondo! Il motivo per cui ho deciso di
tornare qui era per la produzione. La manifattura italiana è
estremamente diversa, sia dal punto di vista qualitativo sia dal
punto di vista dei prezzi. E anche il rapporto, il modo in cui
lavorano le persone. Io credo che il Made in Italy sia importante e
continuerà ad essere importante perché la mentalità che ha il
lavoratore ed il tipo di passione che ci mette fanno la differenza.
Il modo di trattare, il carattere più aperto, il venirsi incontro.
Per un marchio piccolo, emergente, è fondamentale.
Mentre
in Inghilterra era un rapporto molto più professionale, ma si
facevano pagare molto per un prodotto qualitativamente più
basso e non c’era modo di venirsi incontro. Certo, facendo un bilancio non
conveniva a livello economico, fiscale, burocratico, ma dall’altra
parte c’era questa differenza a livello caratteriale e così ho
fatto la mia scelta e sono tornata in Italia nel 2011.
Secondo
Lei, che cosa dovrebbero fare dei politici italiani per aiutare le
aziende di moda ed i giovani?
Secondo
me basterebbe che prendessero esempio dal Nord Europa. In particolare
in Gran Bretagna non sei considerato una vera azienda finché non hai
un vero fatturato. Quindi limitare le tasse o INPS
che ti chiede di pagare un fisso anche se non stai
guadagnando. Secondo me bisognerebbe avere molta più elasticità per
chi sta nascendo, crescendo e almeno fino ad un certo livello di
fatturato.
All’inizio
devi anticipare delle spese, cominciare a costruirti una clientela,
fare del passaparola. Tutto questo richiede anni di lavoro costante.
Se in più ci sono delle tasse altissime, delle spese fisse, allora
rinunci già in partenza. Oppure peggio: molti provano e poi sono
costretti a chiudere lo stesso. Ho presente delle storie di
tantissimi amici che avevano un loro prodotto, bellissimo, di ottimo
livello che meritava di esistere, ma che hanno chiuso perché non
potevano andare avanti.
E
non Le è mai venuto in mente che sarebbe meglio lavorare in qualche
grande azienda affermata che in proprio?
É
quello che ho fatto all’inizio, poi è stato un caso, perché mi
sono trovata in un periodo, dopo aver fatto diverse collaborazioni,
quando stavo mandando dei CV e per non sentirmi ferma volevo
evolvermi, così ho cominciato a fare delle cose per conto mio,
mettendomi quasi alla prova. Ho visto che la cosa iniziava ad andare
bene, da subito, addirittura ricevevo richiese da alcuni negozi in
conto vendita, e quindi questo ha cominciato ad occupare sempre più
tempo. Di conseguenza dovevo fare una scelta: dedicare tempo alla
ricerca del lavoro o occuparmi delle mie creazioni. Quindi diciamo
che più che una scelta è stato un percorso che mi ha portato a
questa decisione.
Lavorare
in proprio è sicuramente più stimolante, anche se molto più
difficile. Ti costringe ad imparare tante cose al di là del disegno,
dalla scelta dei materiali alla manifattura alla produzione alla
comunicazione, diventi esperto in tutto assumendoti delle
responsabilità.
Oggi
la gestione del marchio in se la curo da sola, poi per la manifattura
c’è il laboratorio di sarte qui a Roma. Inoltre ogni tanto
collaboro con i vari altri laboratori e persone esterne, dipende
dalle esigenze. E poi ho una famiglia che mi sostiene molto, è una
cosa molto italiana, la famiglia e l’azienda. I miei possono sempre
darmi un consiglio, una risposta che mi fa riflettere.
Perché
questo nome, Aroma30?
L’ho
scelto molto velocemente. Dovevo partecipare ad una fiera a Parigi e
dovevo fare delle etichette con il nome del brand. Non volevo usare
il mio nome personale perché avevo voglia di distaccarmi un po' dal
progetto, di vederlo come qualcosa a se stante. Volevo che non
significasse nulla, un nome astratto. Così ho scelto Aroma, perché
mi ricorda i profumi, che amo molto, è una parola internazionale, che viene usata
in molte lingue e quindi è comprensibile e poi include il nome della
mia città, Roma.
La
Sua musa-ispiratrice? Chi è la donna per la quale crea?
Non
è proprio una, forse un mix di donne, con caratteristiche diverse,
spesso cambiano, anche se il modello generale c’è.
Mi
piace molto Monica Vitti perché la trovo elegante in maniera
classica, fresca e molto contemporanea, la potresti trasporre al
giorno d’oggi e sarebbe perfetta, anche se rappresenta gli anni 60-70.
Mi piace molto Sofia Coppola, minimale,
chic, ha una femminilità di cui percepisci l’intelligenza, la
concettualità, mi piace molto anche il suo lavoro, il modo in cui
esplora il mondo femminile. Mi piace molto anche Tilda
Swinton, anche lei è molto celebrale, molto concettuale. E poi
Charlotte Gainsbourg, anche sua mamma Jane Birkin. Sono tutte
le donne che vanno al di là del loro tempo. Ed è quello che cerco
di fare con i miei abiti, che non siano inquadrabili in un periodo o
stagione. Puoi comprarli e indossarli tra 2-3 anche 5 anni. Mi piace
il fatto che la moda sia atemporale, non sia legata a stagioni o
tendenze.
Certamente
creo per una certa tipologia di donna, più che altro caratteriale.
Mi piace una donna austera, una donna sicura di se stessa, che non ha
bisogno di vedersi con gli occhi degli altri, ma che abbia grazia.
Per me la cosa più importante in una donna è la grazia, la
femminilità, il modo di porsi agli altri. Poi può essere anche
ironica, divertente, simpatica, buffa. Austerità non necessariamente
significa severità o rigidità. Mi piace che sia declinata in vari
modi. Può esserci la freddezza e rigore, ma anche la femminilità
più materna o più ironica. Mi piace la donna che non si veste per
gli altri, che non ha bisogno di seguire le mode perché è se
stessa.
Molte
delle mie clienti sono avvocati, commercialiste, donne che lavorano
in campo giuridico e economico. Forse perché chi lavora in questi
settori, definiti maschili, precisi, che non lasciano spazio alla
creatività, devono sfogarsi in qualche modo ed ecco allora che
scelgono i miei capi.
Segue
le sfilate e le settimane della moda?
Onestamente
guardo le sfilate con poco interesse, perché sono troppo simili tra
loro, lo faccio più per dovere.
Dove
si possono acquistare i Suoi prodotti?
Al
momento vendo soltanto ai privati, direttamente. Quindi si fissa
l’appuntamento e il cliente viene qui in studio dove c’è il
campionario. Può provare delle cose e personalizzarle, cioè
decidere la taglia, il colore, il tessuto, i dettagli, la lunghezza.
Più
che pensare a fare delle collezioni stagionali preferisco l’idea di
offrire un servizio per il quale il cliente può scegliere un capo
che ho realizzato anche due anni fa e decidere se lo vuole magari in
una lunghezza o un colore diverso. É un servizio disponibile tutto
l’anno.
Solitamente
richiedo circa 20 giorni per realizzare l’ordine della cliente. Ma
a volte il capo è pronto anche in una settimana. La tempistica è
dettata più che altro dalla disponibilità dei tessuti richiesti. Le cose più particolari possono richiedere
anche un mese e mezzo.
Non
ho ancora uno shop on-line, è un po' troppo presto e difficile per
un prodotto come il mio, più basato sull’esperienza diretta con il cliente,
sull’attesa, sulla personalizzazione. Mi piace il fatto che la mia
cliente possa scegliere esattamente che cosa vuole. É sicuramente il
nuovo tipo di lusso, non necessariamente basato sul costo elevato.
L’unicità,
la personalizzazione, la qualità ecco che cosa è il lusso oggi.
Dobbiamo staccarci dalla mentalità del “tutto e subito al minor
prezzo possibile” che porta inevitabilmente ad essere uguale a
tutti gli altri. Certo è una soluzione veloce, economica e
democratica, però così si è persa la parte più bella del
vestirsi, il piacere di prendersi cura di se stessi attraverso la
scelta di un tessuto e di una vestibilità. É importante perché è
così che si crea il proprio stile e si costruisce il proprio
guardaroba, ordinando qualcosa in base a quello che hai già
nell’armadio.
Crea
anche su ordinazione?
Sì,
certo, faccio anche i capi custom-made, magari disegnati
appositamente. In quel caso cerco di capire che cosa vuole la
cliente, se magari ha delle foto da farmi vedere. Le preparo delle
proposte disegnate. Di queste proposte lei o ne sceglie una o magari
mi dice “Voglio questo con il taglio di quest’altro”. Così
lavoriamo insieme per creare un capo su misura.
La
fascia dei prezzi dei suoi capi?
Ovviamente
i prezzi sono molto variabili. Se prendiamo un capo già pronto, a
disposizione per la vendita, costa una cifra. Se si tratta di un su
misura, disegnato appositamente, è tutt’altro. Diciamo che io
cerco di fare un buon compromesso tra la qualità che offro e il
budget. Non ho paura a chiedere al cliente quale sia il budget che ha
intenzione di spendere per potergli offrire le soluzioni che sono in
linea con le sue intenzioni. Non mi piace essere il tipo di designer
che guarda dall’alto in basso. Mi piace il contatto umano e poter
accontentare nel modo in cui posso.
Ho
anche clienti che magari ci tengono alla qualità e al vestirsi bene,
ma non hanno delle possibilità altissime e hanno un budget
abbastanza ridotto, a questo punto studiamo insieme la wishing list
di quello che a loro piace e creiamo il loro schema personale di
acquisti. Io da parte mia faccio la ricerca sui tessuti, ad esempio,
proponendo le varianti alternative (ad esempio invece di pura seta
uso il misto) e mantenendo la stessa immagine. Semplicemente trovo il
compromesso.
Se
parliamo di un vestito in jersey, siamo tra i 100 e 150 euro. Un
vestito in seta, non lungo, con qualche dettaglio particolare – tra
i 200 e i 400 euro. Ovviamente ci sono i prezzi molto più alti, ad
esempio un abito importante, su misura, può sfiorare anche i
1000 euro. Insomma dipende da cosa si cerca.
Comprare
direttamente da chi realizza le cose abbatte molti costi, non tanto i
costi di produzione, ma i costi di servizi intermediari che in questo
caso saltano. Quindi il cliente ha un prodotto qualitativamente molto
alto ad un prezzo nettamente inferiore.
Ha
un bellissimo studio situato nel Pigneto. Perchè la scelta di questa
zona?
É
la mia zona preferita, però questo è stato un caso, anzi una
fortuna. Mio padre, che fa il restauratore
edile ha preso questo spazio insieme con mio cugino,
geometra, diversi anni fa per realizzare il loro studio. Poi loro non
hanno più avuto bisogno di questo spazio e così mio padre l’ha
proposto a me. É stata una fortuna, perché non mi sarei potuta
permettere di pagare un affitto. O avrei dovuto caricare il prezzo
d’affitto sui capi.
Adesso
il Pigneto è una zona che soffre di molti problemi, è
improvvisamente riqualificata, però mantiene ancora un po' un’anima
radical-chic che la differenzia da altre zone di Roma. Mi ricorda
molto East London dove ho vissuto. É esattamente come aver ritrovato
quel tipo di realtà, nata dalla riqualificazione di una zona molto
periferica e abitata principalmente da artisti, designer, creativi,
insomma un po' bohème.
Lavora
sempre qui?
Dipende.
Quando si tratta di disegnare, lo faccio di notte, è il mio momento
creativo, dall’una in poi: rifletto, disegno, penso ad un concept,
scrivo dei press-release. Ovviamente lo faccio a casa. La
realizzazione dei capi invece, a partire dal lavoro sui manichini,
avviene nel laboratorio dalle sarte e qui in studio. Inoltre qui mi
incontro con le mie clienti.
I
suoi capi appaiono spesso nei servizi fotografici in varie riviste.
Ricevo
continuamente richieste da parte di stylist e fotografi che chiedono
alcuni dei miei capi per i servizi moda, editoriali, shooting, etc.
E’ una cosa molta bella, mi piace. Io sono molto selettiva, non
dico sì a tutti perché ovviamente c’è l’immagine del marchio
in gioco. Non è una selettività basata sull’esperienza di chi mi
contatta, anzi mi piace collaborare anche con i giovani e gli emergenti, a
volte anche studenti, l’importante che ci sia un’impronta ben
chiara, uno stile definito e ben preciso, così anche per loro questo
diventa un’opportunità.
Parliamo
un po' del suo legame con Roma?
Sono
romana nata a Roma. Roma a volte è soffocante. Finché vivi qui
dentro è come una famiglia numerosa dalla quale qualche volta vorresti scappare. Credo che
devi uscire per un attimo da questa città per vederla dall’esterno
e saper apprezzarne delle cose.
Ho
avuto modo di vivere in altre città, ho vissuto a Firenze, quando
lavoravo da Salvatore Ferragamo e a Londra. Londra per me è
stata questo tipo di fuga. Per quanto è intensa e stimolante ti
offre anche la possibilità di trovare dei momenti di tranquillità,
a Roma invece è molto più difficile. Quindi il mio soggiorno a Londra mi
ha consentito di respirare un po' e di rappacificarmi con Roma, di
scoprire le sue belle cose che la differenziano dalle altre città.
Una
su tutte è la gente. Quello di cui ho un po' sofferto a Londra è il
fatto di sentirmi a volte invisibile e disconnessa da tutti, pur essendo in
una città molto popolata. Mi è capitato di passare giornate intere
senza scambiare parola con una sola persona. Lì c’è una concezione
diversa di privacy. E a volte è
difficile scindere tra rispetto dello spazio dell’altro e totale
indifferenza. È un confine sottilissimo. I romani invece sono
invadenti, nervosi,
però non passi mai inosservato.
In certe giornate non
mi sentivo più neanche donna in Inghilterra, invece a Roma gli
sguardi e i commenti dei ragazzi per strada, cosa di cui mi lamentavo
prima, ti fanno sentire la Sofia Loren della situazione (a questo
commento ridiamo tantissimo, perché è proprio vero! - nota
d’autore).
Un’altra
cosa che mi piace di Roma è il fatto che comunque parli con la
gente. Se vai al bar a prenderti un caffè, allora il cameriere ti
parla, ride e scherza. É tutto una piazza pubblica, la gente ha
sempre qualcosa da commentare: la politica, il calcio, l’attualità,
la cronaca, basta che dai un imput ed è fatta. É una cosa un po' da
paese, ma è proprio questo bello e particolare di Roma.
Secondo
Lei, che cosa manca a Roma per diventare una vera capitale della
moda? O va bene la sua posizione attuale?
Io
credo che Roma possa diventare la capitale di un determinato tipo di
moda, forse più legato all’artigianato, a delle piccole realtà.
Allora magari se si differenzia totalmente dalle grandi città della
moda, può trovare una sua identità. É sempre stata la città
dell’alta moda, quindi credo che potrebbe essere buono trovare il
modo per rimodernare questo concetto. Per cui al di là dei
grandi atelier che fanno alta moda ad altissimi livelli vederla anche
proprio come una realtà fatta di prodotto su misura,
qualitativamente alto, artigianale e lasciare che Milano detenga il
primato del prêt-à-porter e delle sfilate con tutto il loro
entourage.
Anche
geograficamente parlando Roma ha una posizione che non è molto
comoda per i buyers o i clienti che vengono dall’estero. Per cui
magari è più facile cercare di concentrare qui qualcosa di più
selezionato, esclusivo, artigianale, in edizione limitata. Io credo
che Roma abbia questo tipo d’identità e dovrebbe puntare su
questo.
Infine
qualche Suo indirizzo o posto preferito a Roma?
Non
so se ho un posto preferito in questo senso, è difficile sceglierne
uno. Ce ne sono molti e ognuno ti può dare
qualcosa di diverso. Può essere bellissimo camminare sul lungotevere
perché costringe a fermarti e dire “Quanto è bella Roma!” o
magari la stessa cosa la puoi provare al Gianicolo o a volte anche in
periferia, come al Quadraro o Pigneto appunto che hanno una bellezza
meno patinata, ma più vera, che ricorda un po' il neorealismo, un
altro tipo di italianità.
Fotografie - Antonio De Paolis
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