Era da un bel po’ che avevo messo l’occhio sulle vetrine di Antica
Manifattura Cappelli. Continuavo a pensare che devo trovare del tempo per
passarci per vedere bene tutti i bellissimi cappelli che ci sono dentro e
magari fare qualche prova. Volevo scoprire chi li crea e qual'è la storia di
questo posto. Storia che sicuramente potrebbe far parte della mia ricerca e
raccolta sull’artigianato e tutto ciò che si può definire come l’eccellenza di
Roma.
Così, un giorno, sono finalmente entrata in questo negozio-atelier ed ho
conosciuto la sua titolare, Patrizia Fabri, che è stata gentilissima ed ha
risposto in modo dettagliato alle mie domande.
Mi racconti della Sua attività: quando e come è nata l'idea di diventare
cappellaia?
È nato tutto assolutamente per caso, ma non a caso. La spinta iniziale è
stata proprio la passione per il cappello. Intorno ai 17 anni ero venuta in
questo laboratorio per comprarmi un cappello ed il proprietario, il signor
Loris Cirri, mi ha aiutato a trovare un cappello, che poi, già a casa ho
personalizzato rendendolo diverso, particolare.
Ho sempre pensato che la creatività è comunicazione, quindi bisogna
proporla. Così la domenica successiva andando al mare sono entrata in un
negozio di abbigliamento e ho detto: “Buongiorno, io faccio questi cappelli!”.
Incredibile, ma la proprietaria mi ha ordinato 25 cappelli! Lunedì sono tornata
qui ed ho detto al signor Loris: “Io ne vorrei 25!”. Lui è rimasto sconvolto,
ha solo detto in toscano “La ragazza fa sul serio!”.
Quindi è iniziata così, con questo mio primo ordine di cappelli per il
negozio al mare, un po’ per gioco, mentre studiavo architettura all’università.
Venivo qui, sceglievo i modelli, li decoravo e personalizzavo. Piano piano si è
creato un intero campionario che ha girato un po’ tutta l’Italia. E così è
andato avanti per un po’. Poi ho approfondito e ai cappelli ho aggiunto le
borse e le scarpe ed infine ho creato la mia attività. Qui venivo solo per
acquistare i cappelli.
Poi nel 2003 il signor Loris si è ammalato, e così lui e sua sorella
avevano deciso di chiudere, anche se non si è mai capito se avevano deciso di
chiudere perché lui si è ammalato o si è ammalato perché avevano deciso di
chiudere, perché gli artigiani sono così – vivono del proprio mestiere a cui
sono molto legati. Non avendo eredi professionali lui aveva visto in me la sua
idea di continuità di questo luogo, per cui mi pregava di prenderlo e portarlo
avanti. Solo che la mia attività in quel momento era già decollata, andavamo a
Parigi, a Milano, alle varie fiere con le collezioni di borse e scarpe, avevo
già la mia struttura, dei dipendenti, il mio mercato. L’idea che tutto questo
poteva essere buttato, sprecato o messo in mano a qualcuno non all'altezza mi
dispiaceva molto, ma era chiaro che fare tutte e due le cose era impossibile.
Inoltre il prezzo di questo atelier era altissimo per me. Così dissi di no,
perché proprio non pensavo di potercela fare.
Loro si sono ritrovati a dover smembrare il laboratorio e vendere i singoli
pezzi. Un giorno quando sono entrata qui ho trovato la sorella del signor Loris
che vendeva delle forme di legno a un arredatore di Milano per
decontestualizzarle. Queste forme sono delle vere sculture che corrispondono al
negativo del cappello. Qui, in questo laboratorio, c’è la storia che va dal
1900 ad oggi, quindi potremmo ripercorrere un secolo di moda italiana
attraverso il cappello che io definisco patrimonio artigianale e culturale
italiano. Invece l’arredatore che le comprava voleva perforarle per
trasformarle in lampade da salotto. Ero sconvolta da questa idea, letteralmente
scioccata. Mi sembrava che smembrare questo patrimonio, che rappresentava un
pezzo di storia, era un oltraggio. Per cui ho deciso di getto e detto:
“L’attività non me la posso comprare, ma compro tutto il materiale, le forme”
ed ho lasciato un acconto.
È stato un impulso emotivo, di pancia, salvare in qualche modo gli
strumenti e di metterli via. Invece a quel punto mi si è aperto un nuovo
scenario, inaspettato, perché le persone che lavoravono qui, da anni, e che con
la chiusura del laboratorio rischiavano di perdere il lavoro mi hanno proposto
di continuare insieme questa attività. E così ho preso la decisione di
continuare l’attività di questo atelier. Per quanto riguarda il signor Loris
purtroppo è venuto a mancare quello stesso anno.
Abbiamo riaperto questo negozio il 1 ottobre 2003, quest’anno abbiamo
festeggiato 10 anni di attività. È stata una grande sfida, di grande coraggio,
era proprio andare contro corrente, perché nessuno avrebbe scommesso su
un’operazione del genere. Con il tempo questa attività è diventata unica nel
suo genere e controtendenza, perché tanti altri settori, incluso quello delle
borse e delle scarpe, si sono scontrati con la concorrenza cinese e sono andati
in crisi. Sono molto orgogliosa di questo successo. Spesso mi dicono: “E’ il
negozio più bello di Roma!”. Secondo me invece forse è il negozio non più
bello, ma il più particolare, unico nel suo genere, ha il fascino del passato
che si respira ancora qui. Infatti quando vendo un cappello dico sempre che non
vendo il cappello, ma un pezzo di storia, di emozioni, di passione, c’è tutto questo dentro un cappello che compri qui.
E che cosa è successo con l’altra Sua attività?
Per 4-5 anni ho continuato a gestire anche l’attività di borse e scarpe
contemporaneamente. Quindi la mattina mi trovavo a gestire il laboratorio con
gli altri dipendenti e altro tipo di lavoro, il pomeriggio tornavo qui, facevo
un salto nel passato, solo che non ero più un cliente, ma ero la proprietaria.
Non sapevo quasi nulla, quindi dovevo imparare.
Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta. Forse perché questa attività
ha preso piede, anche il punto vendita si è rinnovato totalmente, la gente ha
iniziato a scoprirlo, forse perché mettevo tutte le mie energie su questa
attività perché era nuova e aveva bisogno di essere spinta, forse perché a
gestire due aziende così diverse tra loro non ce la facevo fisicamente, il
fatto sta che ho deciso ed ho scelto di concentrarmi solo su questa attività.
Una scelta radicale, profonda, dolorosissima. Lì avevo la libertà di creare,
tagliare, fare, qui mi sono messa a disposizione, al servizio di gente con cui
lavoriamo e collaboriamo. Normalmente all’inizio si lavora per gli altri e poi
ci si mette in proprio, io ho fatto il contrario. Ma va bene così, ho appreso
tanto da questa nuova esperienza.
In che cosa consiste oggi l’attività di Antica Manifattura Cappelli?
Facciamo dei pezzi unici per clienti che vengono con i propri abiti per le
cerimonie o le occasioni tipo Ascot. Inoltre faccio una selezione di alcuni marchi
aggiungendo i nostri pezzi particolari per una vendita normale, soprattutto
d’inverno quando c’è bisogno del cappello.
Poi lavoriamo per cinema e teatro. Mi sono messa a disposizione dei
costumisti. È una cosa interessantissima ed è anche un’apertura verso una parte
commerciale, perché tutta questa eredità bisogna tenerla in vita e mantenere.
Lavoriamo anche con la moda, per piccole produzioni e per l’alta moda per le
sfilate. Abbiamo creato cappelli per Capucci, Ettore Bilotta, creiamo per
Gattinoni, Balestra, Sergio Zambon.
Con il mio arrivo abbiamo introdotto anche cappelli da uomo, perché
praticamente in contemporanea è stato chiuso un negozio di cappelli da uomo qui
vicino e quindi c’è stata la richiesta di questo tipo di prodotto. A proposito,
adesso sta partendo un nuovo progetto per creare un marchio con soli cappelli
da uomo.
Oltre a tutto questo insegno alla KOEFIA (Accademia Internazionale d’Alta
Moda e d’Arte del Costume), dove tengo un corso di cappello. E per non buttare
la mia esperienza da stilista, tre anni fa mi sono rimessa in gioco, ho creato
una collezione di soli cappelli da donne e quindi ho ricominciato a presentare
le collezioni a Milano e Parigi.
Come si crea un cappello? Quanto tempo ci vuole?
Per fare un cappello ci vuole tanto tempo. Fondamentalmente il cappello si
realizza con le forme di legno, quindi la prima cosa da fare, sia se lo
disegnano gli altri, sia se lo disegno io, è realizzare una forma di legno. Le
forme di legno sono la quintessenza del cappello, la sua anima. Queste forme
sono oggetti stupendi, la stessa forma si può interpretare in infinite
varianti, dipende dal tipo di tessuto piuttosto che dalla lavorazione.
La forma di legno è un oggetto affascinante, ma complicato perché non
sempre da una bella forma può uscire un bel cappello e viceversa. Tutto dipende
da proporzioni, armonia e vestibilità. La riuscita della forma di legno dipende
dal formaio, ormai anche questo tipo di professione è in via di estinzione, in
Italia ne è rimasto uno solo, in Toscana che è la madre-patria del cappello.
Con la forma di legno bisogna riuscire ad interpretare quell’eleganza ed
armonia che, come dico io, migliori la persona, la completi, almeno questo è il
mio intento. Ormai regna la voglia di stravolgere, di colpire, di
generalizzare. Non esiste più “mi sta bene” o “mi sta male”, esiste solo “è
trendy” o “non è trendy”. Invece quello che cerco di fare io è donare, il
cappello deve essere un abbellimento, ecco.
Ha dei momenti di pura creatività, quando non lavora su ordinazione, ma
crea solamente?
Il fatto che ho preso questa attività così, in modo inaspettato, significa
che devo ancora acquisire tutto quello che è la storia, quindi gioco molto di
rimessa su quelle che sono le vecchie forme. Sono talmente belle, talmente
vintage che solo rivisitare quelle, interpretarle in chiave moderna, secondo il
mio stile e mio gusto già significa avere un atto creativo che non è fine a se
stesso, che non è solo mio, ma ripesca nel passato, nella storia. È talmente
ricca l’eredità di quello che è già stato fatto che inventare qualcosa
completamente nuovo è difficile. Questo posto ha tante realtà, posso fare un
pezzo unico per andare ad Ascot, piuttosto un pezzo per la mia collezione che è
più fashion, più vendibile.
Certo si possono creare delle cose pazzesche per cerimonie o sfilate, ma
per tutti i giorni secondo me bisogna partire dalla persona e renderla
particolare, amplificare la sua personalità attraverso il cappello che è molto
importante perché si porta in testa, sul volto. Ad esempio, Philip Treacy, il
famoso designer britannico di cappelli, a mio avviso è un bravissimo scultore,
ma le sue opere in testa ad una persona mettono in ombra la persona stessa che
è contro la mia ideologia perché io parto sempre dalla persona. L’armonia di
una semplice curva a mio avviso vale molto di più di qualsiasi artifizio.
Preparandomi per questa intervista mi sono resa conto che ho da sempre
avuto un rapporto difficile con i cappelli, probabilmente è legato al mio
passato. Che cosa mi può dire a riguardo? Il rapporto con il cappello ha
davvero a che fare con la psicologia?
Il cappello tra gli accessori è sicuramente il più fantastico, più
fascinoso e poi ha molte chiavi di lettura simboliche. Non potrà mai essere
volgare come ad esempio invece può essere una scarpa. Allo stesso tempo il
cappello ha una sensualità incredibile. Una modista di 90 anni, famosissima,
che ho avuto il piacere di conoscere, mi diceva che a suo tempo, quando tutte
le donne portavano i cappelli c’era una scuola solo sul come si dovevano
muovere le dita per sollevare la veletta. Questo era un discorso di sensualità
che ormai non esiste più, purtroppo. Come anche la sensualità del collo che il
cappello può sottolineare, non a caso nel cappello i capelli vanno sempre
legati perché così c’è un’enfatizzazione del viso incredibile.
Se vogliamo interpretare il cappello in chiave psicologica questo ha un
forte legame con il rapporto con la propria figura, con se stesso e con gli
altri perché il cappello è comunicazione. Prima, quando si usava il cappello,
esisteva un galateo vero e proprio del cappello: usarlo o non usarlo in certi
modi, toglierselo per salutare, etc.
Poi il cappello è andato in disuso perché ha subito vari colpi e contro
colpi. Il primo colpo è stato l’uso della macchina, il secondo è stata la così
detta rivoluzione sociale, il femminismo, il terzo è stato il motorino e
l’utilizzo del casco.
Le racconto un episodio, è accaduto quando era ancora vivo il Sig. Loris.
Una volta qui è entrata una ragazza, ha provato dei cappelli, ma non sapeva
come metterli ed infine ha detto: “Mi vergogno ad uscire così”. La cosa buffa
era che aveva i jeans a vita bassissima che non nascondevano diciamo nulla. Il
Sig. Loris era disperato: “Ma io non capisco, ti vergogni a mettere il cappello
in testa e non ti vergogni ad uscire di casa con mezzo sedere fuori!”. Un
episodio molto interessante proprio dal punto di vista antropologico!
Come vede, è molto complicato vendere un cappello, perché va influenzato
molto dalla moda, dall’estetica, ma anche dalla psicologia. Oltre alle varie
operazioni che facciamo quando vendiamo un cappello, come salvare il mestiere e
far tornare la passione per il cappello, rimettiamo anche in linea le persone
con il proprio io. Una visita qui è quasi una seduta terapeutica!
Una regola d'oro quando si compra un cappello?
Per ogni fisico c’è il suo modello, e poi ci sono gli artifizi da alta moda
che purtroppo con l’arrivo di pret-a-porter abbiamo perso.
Comunque sì, c’è una regola fondamentale: scegliere il cappello con il
quale ci si sente come se non si portasse il cappello. Quello con cui ci si
sente meglio, con cui ci si identifica – quello è il cappello giusto. Molto
semplice! Infatti ai miei studenti a scuola io dico sempre che li stupirò con
le cose semplici che abbiamo perso per la strada.
A questo punto parliamo della Sua esperienza da insegnante. Come è nata
questa idea?
L’idea di farmi insegnare è stata del preside della scuola KOEFIA che da
bravo imprenditore ha intuito il ritorno del cappello e ha capito che un corso
di cappello avrebbe arricchito e completato lo studio dell’intero mondo
dell’abbigliamento e degli accessori.
Mi piace insegnare, mi diverto. All’inizio dico ai miei studenti che
vivranno un’avventura. Alla prima lezione porto tantissimi cappelli, anche i
cappelli eleganti, con la veletta, li faccio indossare e propongo a studenti di
fotografarsi tra loro. Così vedono come si cambia la postura, l’espressione,
l’atteggiamento, ed è già una scoperta per loro. Poi quando scoprono che il
feltro per il cappello è fatto di pelo di coniglio che ad un certo punto della
sua realizzazione finisce nel forno per loro questo è una vera sorpresa. Perciò
il corso di cappello è davvero un’avventura.
Certo oggi i giovani vivono velocemente le cose, vogliono tutto e subito, e
quindi anche quando riescono ad avere un’emozione, sembra che è un fuoco
d’artificio che non lascia quasi il segno. Li vedi impazziti, emozionati, e
quindi speri che magari tornati a casa dopo la lezione faranno delle ricerche,
ti racconteranno qualcosa, invece alla lezione dopo li vedi già spenti e devi
ricominciare da capo per coinvolgerli. Come se le emozioni non si sedimentassero.
Questo mi sconvolge. Ma certo è un discorso generale. Per fortuna ci sono
sempre 4-5 del corso molto affezionati, e poi alla fine 1-2 che vengono qui a
fare la loro esperienza.
Quali sono le caratteristiche per diventare un bravo cappellaio e un bravo
artigiano?
Io dico sempre che ognuno è l’imprenditore di se stesso. Quindi per fare
l’imprenditore serve una presunzione, un filo di pazzia e contemporaneamente
molta concretezza. Per fare questo mestiere ci vuole la passione e la voglia di
fare, come per tutti i mestieri. Sono le parole chiave.
Quale è il futuro dell’artigianato in Italia, secondo Lei?
Oggi tutti vogliono diventare stilisti, tutti si vogliono esprimere, ma
nessuno vuole veramente studiare, aprire una bottega e fare l’artigiano o
investire in una forma di artigianato. No, la maggior parte vuole avere il
lavoro fisso e prendere uno stipendio come dipendente.
Forse torneremo al culto dell’artigianato tra 10-20 anni, non lo so. In
Giappone sta già accadendo, forse accadrà anche da noi. Ma nel frattempo
abbiamo già perso dei mestieri. Ci insegneranno a noi i giapponesi. Già 15 anni
fa incontravo delle giapponesi nei negozi di calzature fatte a mano a Firenze
che pagavano per imparare. Qui da me invece vengono gli italiani e già dopo un
mese mi dicono che sono bravi, quindi già vogliono creare e guadagnare. Nessuno
non è più disposto a fare la gavetta. Pensano che basti prendere un cappello
sul quale applicare qualche decorazione per essere chiamati cappellai. La gente
deve capire che ci vogliono anni per imparare il mestiere, non è solo un
discorso di creatività.
L'Italia comunque è ancora il leader mondiale per la produzione di
cappelli. Alessandria dove è nata e c’è ancora la sede di Borsalino, è
riconosciuta come la capitale mondiale del cappello. Altri paesi, come
l’Inghilterra, ad esempio, hanno una grande tradizione nel portare i cappelli,
ma la capacità di realizzazione, le materie prime come i feltri piemontesi e le
paglie toscane si trovano qui, in Italia e sono i migliori nel mondo.
Il Suo legame con Roma? Potrebbe vivere lontano da questa città?
Sono nata a Roma, la amo, certo, ma la trovo molto faticosa per vivere,
tanto che ho fatto la scelta di vivere in campagna, anche se poi alla fine
passo quasi tutto il tempo a Roma e in campagna vado solo a dormire.
Il quartiere Prati e questa via sono la mia zona, sono cresciuta qui, qui
andavo dalle suore in asilo, il nostro portone era qui dietro, conosco molte
persone qui.
Ma da quando ho questo negozio e grazie anche alla scelta della campagna
non vivo più Roma, mentre invece vivo il resto del mondo. Per certi versi per
me è molto più complicato andare all'EUR che a New York. Quando lavori praticamente
7 giorni su 7, dalle 9 alle 19, non trovi più né tempo né le forze per andare
in via del Corso o in piazza di Spagna.
Secondo Lei esiste un Roman lifestyle, lo stile di vita alla romana? Se sì,
come lo descriverebbe, in che cosa consiste?
I tempi lunghi, dilatati dei romani, con tanto di pausa caffè, pausa
pranzo, pausa dottore, pausa spesa, sicuramente influenzati anche da tantissimi
uffici e ministeri situati a Roma, dal fatto che molti fanno un lavoro
dipendente, quindi non devono preoccuparsi più di tanto della propria attività.
Io invece sono contraria al concetto del posto fisso, che è il sogno di tanti,
perché atrofizza il cervello, la passione, l’entusiasmo, il senso d’iniziativa.
Qualche Suo indirizzo o posto preferito a Roma?
Sicuramente Castel Sant’Angelo che mi piace moltissimo. Anche il Gianicolo,
molto legato alla mia infanzia, soprattutto per la presenza di Pulcinella,
delle marionette. L’unico burattinaio che ancora esiste a Roma è lì, da piccola
andavo lì nel parco per vedere il teatrino. Per me è un pezzo di storia.
Antica Manifattura Cappelli di Patrizia Fabri
Via degli Scipioni, 46
Tel 06 39725679
Fotografie - Antonio De Paolis